biomeccanica

Biomeccanica dell’arrampicata

Chi ha dato un esame di anatomia saprà che si tratta di imparare a memoria un lungo elenco di strutture suddivise in diverse categorie a seconda del loro tipo e della loro localizzazione. Ciò che i libri spesso non riescono a trasmettere è che in realtà è sbagliato dividere il corpo in “compartimenti stagni”, soprattutto in arrampicata. Niente di ciò che ci compone agisce in modo distaccato ma, anzi, siamo formati da diverse unità funzionali che lavorano insieme per un obiettivo comune.

La mano, questo organo così sofisticato e versatile, non potrebbe fare nulla se non avesse gomito e spalla a metterla nella posizione corretta per poter afferrare, muovere e lavorare oggetti.

E a nulla ci servirebbe stringere un oggetto se non avessimo un cingolo scapolare in grado di stabilizzare il braccio e permetterci così di muovere l’oggetto nello spazio.

Tornando alle origini, anche le singole strutture come ossa, muscoli, tendini e legamenti non lavorano singolarmente ma sempre all’unisono per eseguire il movimento nel modo più accurato e preciso possibile. Il sistema nervoso invia l’impulso di contrarsi al muscolo, il quale è fissato alle ossa dai tendini. La forza cinetica viene così trasmessa alle ossa, alle articolazioni e il movimento viene eseguito. I tendini sono inoltre composti come una specie di molla, in grado di ammortizzare l’energia in eccesso ma anche di svilupparla in modo esplosivo quando necessario. La collaborazione delle singole unità motorie tra di loro e con le fibre tendinee permette una perfetta messa a punto del movimento.

 

Il gioco tra flessione ed estensione

Il corpo umano non si è evoluto per arrampicare ma ha visto l’arrampicata come punto di partenza nello sviluppo di spalle e braccia. Nello specifico, l’azione coordinata delle articolazioni di spalla e gomito è ciò che ci permette di posizionare le mani nel posto giusto ed esercitare la forza necessaria a tirarci su. Estendiamo le spalle e i gomiti per allungarci in alto e una volta trovato il giusto appiglio li flettiamo per trazionare e andare su. Il tutto si svolte idealmente in modo alternato, trazioniamo con un braccio per allungare l’altro braccio. Le stesse gambe si piegano ed estendono in modo opposto rispetto alle braccia.

 

Peculiarità anatomiche

Vi sarete probabilmente accorti che sviluppate forza in modo diverso a seconda di come posizionare il vostro corpo e delle leve che esercitate. Il muscolo bicipite brachiale è più forte con la presa prona (con i palmi delle mani rivolti verso di voi) rispetto a quella supina (con i palmi rivolti all’esterno). Il motivo di questo? La rotazione del gomito che modifica la presa da prona in supina ha effetto anche sulla contrazione del bicipite, che va ad inserirsi proprio lungo le ossa del gomito.

L’antagonista del bicipite, il tricipite brachiale, è in grado di sviluppare la massima forza quando a squadra – con un angolo di 90° – rispetto alla spalla. Non stupitevi quindi se vi sembrerà più difficile sollevarvi quando spingete con le braccia dal basso (come quando state superando un tetto e volete spingervi sul gradino) rispetto che verso destra e a sinistra, come quando risalite un camino. È proprio cosi!

 

La mano

Un altro esempio classico di come la posizione vada ad influire sulla forza esercitata è la presa arcuata. Il pollice è il dito più forte della mano. Anche se non utilizzato direttamente in arrampicata contribuisce a rinforzare la presa una volta che viene utilizzato chiudendo una o più dita, arcuando appunto. Così facendo possiamo tenerci su tacchette sulle quali altrimenti scivoleremmo. Purtroppo al tempo stesso, a causa del sovraccarico, aumentiamo anche il rischio di infortuni alle dita.

E lo sapete perché dito medio e anulare sono le dita che sviluppano la forza maggiore in arrampicata? Per un motivo molto semplice: perché sono “circondate” dalle altre dita della mano. Il dito medio ha da un lato l’indice e dall’altro l’anulare; l’anulare a sua volta ha da un lato il medio e dall’altro il mignolo. Per questo motivo sono in grado di sviluppare più forza e mantenere stabilità rispetto ad indice e mignolo.

A proposito di questo: un’ipotesi sulla maggiore incidenza di lesioni delle pulegge del dito anulare è il fatto che il mignolo sia più corto delle altre dita e quindi riesca solo in parte a proteggere e stabilizzare il dito anulare durante la presa.

Il complesso polso-mano-dita è invece concepito per flettersi e stringere il pugno. Biomeccanicamente parlando, l’estensione o sovraestensione del polso rende la chiusura del pugno più forte. Fate questa semplice prova: lasciate prima il polso e la mano rilassati, con le dita distese, e poi estendete di pochi gradi il polso. Basterà questo lieve movimento a portare le dita in posizione “a uncino” senza aver effettuato alcuna flessione delle dita.

Inoltre le articolazioni metacarpo-falangee (quelle delle dita) sono naturalmente più stabili durante la flessione, cioè a dita piegate rispetto che a dita estese, in modo da rinforzare e sostenere la presa. Ogni dito inoltre ha un proprio muscolo flessore.

Purtroppo per noi esistono anche peculiarità dell’arrampicata che non vanno d’accordo con la nostra biomeccanica. La stretta forte e la sinergia di spalle e braccia ci predispongono ad afferrare e spostare o portare oggetti ma a braccia lungo il basso e non verso l’alto. A riprova di questo il fatto che il nostro “afferrare” si sia evoluto a braccio disteso e non piegato. Per questo motivo potremmo virtualmente portare una borsa della spesa per ore senza sforzo e senza dolore, mentre ci ghisiamo subito quando, a gomiti piegati, stringiamo una presa.

La posizione a braccio disteso è anche quella più naturale per il corpo, mentre piegare il braccio stringendo qualcosa causa un sovraccarico dei tendini che originano sul gomito ed è la causa più frequente di tendinopatie in arrampicata.

 

La consapevolezza sulle posizioni e movimenti più favorevoli dal punto di vista biomeccanico, aiuta a comprendere i fenomeni e le cause di infortuni o punti di debolezza su cui lavorare. Contrarre con forza articolazioni su assi sfavorevoli non consente di effettuare un movimento efficace. Il trucco, alla fine, sta nella tecnica, che più è elevata e più ci consente di ottenere il massimo dell’efficacia con il minimo dello sforzo. Poi, quando c’è da tirare… si tira e basta!

 

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